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Momenti di gloria
Disponibile
Hugh Hudson (regia) Int. B. Cross, N. Havers, I. Holm, I. Charleson
Parigi, Olimpiadi del 1924: due atleti vincono le piu' importanti gare di corsa. Sono ambedue inglesi ma profondamente diversi. Eric Liddell appartiene alla Chiesa cristiana scozzese ed e' convinto che correre sia uno dei modi a lui concessi per rendere onore a Dio (vent'anni piu' tardi morira' come missionario in Cina). Harold Abrahams e' invece ebreo e trova nello sport (e nella vittoria) un modo per sconfiggere i pregiudizi sociali sul suo conto. Il film percorre le tappe del progressivo avvicinamento di entrambi al successo, ne ricostruisce le motivazioni interiori e i profondi dubbi esistenziali. Hudson ci fornisce un quadro d'insieme della societa' dell'epoca. I tempi non erano poi cosi' buoni, ci dice il regista, e prevenzioni e razzismi erano all'ordine del giorno. Il regista (Oscar 1981 come miglior film, sceneggiatura originale, colonna sonora, costumi) riesce a sfuggire a tutti i cliche' del cinema "sportivo" proponendoci una ricerca interiore che si muove sulle gambe degli atleti (da antologia, nella sua linearita', la sequenza dei titoli di testa), ma non si lascia prendere da ritmi inadeguati. Abrahams e Liddell sono due persone complete, la sceneggiatura non tende a farli diventare simboli di nulla. La tesi, come sempre accade quando il cinema si rifiuta di diventare un pamphlet con note a pie' di pagina, emerge dall'articolazione narrativa e dalla capacita' di Ben Cross e Ian Charleson di rendere credibili anche le titubanze apparentemente piu' assurde per uno spettatore moderno. Vangelis viene in aiuto con una colonna musicale in cui mostra di aver perfettamente compreso qual e' il senso della partitura dell'intero film. Non rinuncia all'epicita' stemperandola contemporaneamente in una scrittura attenta a non perdere di vista l'aspetto intimo delle vicende narrate. Anche l'uso dei ralenti, spesso a doppio taglio nei film che si occupano di argomenti sportivi, si rivela attento a non scadere nel virtuosismo fine a se stesso ma e' finalizzato alla restituzione di una dimensione emotiva che le frazioni di secondo della tecnologia moderna relegano in una collocazione secondaria rispetto all'esaltazione dell'uomo-macchina.
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