Storia di quattro anni 1997-2001
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1925: gli scienziati scoprono una sostanza capace di sfamare l’uomo evitandogli le fatiche del lavoro.
Frotte di operai, impiegati, coatti di ogni sorta si vedono restituita la libertà di disporre del proprio tempo, mentre il loro stipendio rimane inalterato.
L’eccitazione dilaga, ma presto diviene sovreccitazione, e poi follia.
Gli ospedali si riempiono dei malati di libertà.
Terribile, lì, un morbo insinuante, sconosciuto si incarica dell’esecuzione pubblica della più dolce tra le utopie, Liberté, falcidiando i dissoluti apologeti del vacuo, i liberati allo sbaraglio.
Solo piccole sodalità di uomini retti, disciplinati, sobri resistono.
Il morbo non li sfiora.
Saranno loro ad averlo diffuso per disamore del popolo?… Questo romanzo vaticinante, perfetto, scritto nel 1903 da Daniel Halévy, è la versione narrativa delle migliori intuizioni di Friedrich Nietzsche.
Quasi un esemplare unico nel corpus della letteratura, sempre cauta e a disagio di fronte alle possibili implicazioni pratiche della ‘psicologia’ nietzscheana.
Potremmo anche dire che Halévy è il Proust della politica.
Un’amicizia lo legava all’autore della Recherche, ma l’uno ha applicato il proprio inusitato, leggiadrissimo esprit de finesse ai meandri inesauribili di un cuore, l’altro ha dilatato e insieme semplificato i termini della cerca.
L’uno si è dedicato all’uomo come individuo, l’altro all’uomo come genere.
Eppure, si costringesse Proust, il descrittore impareggiabile delle fioriture primaverili, dell’azzurro della cintura di Ginevra, della bellezza più densa e più rara, lo si costringesse a commiserare l’uomo fino a volergli suggerire il modo di salvare sé stesso nel mondo, potrebbe mai, questo aristocrate dell’attenzione, additare qualcosa di diverso dalle caste?
Quelle caste che sono, per Halévy, le colonne doriche dello Stato in ordine - l’unica, l’estrema possibilità di salute pubblica e di condivisione e apologia della bellezza, della magnanimità, della sapienza.