Memorandum. La mia autodifesa.

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Autore Brasillach R.; pag. 82
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Tante leggende sono circolate sul rifiuto di concedere la grazia a Brasillach da parte di de Gaulle. Ma se è possibile perdonare qualunque individuo in carne e ossa, come si può usare clemenza con un simbolo? Con l'aggravante del suo talento, che lo stesso pubblico ministero non esita a riconoscergli, Brasillach è la perfetta incarnazione di quell"intelligenza con il nemico" che la nuova Francia deve lavare come un'onta.

E dunque quello che si celebra il 19 gennaio del 1945 nel cuore di Parigi è sì un processo penale, ma anche una sacra rappresentazione, una cerimonia espiatoria, la convocazione forzata della letteratura sul duro terreno della responsabilità. Ce n'è abbastanza per fare dell'aula gelida della Corte d'Assise uno di quei luoghi in cui tutta un'epoca sembra darsi convegno, uno spazio saturo di senso come un'allegoria.

Ci sono i giudici, i giurati, il rappresentante dell'accusa e l'avvocato, i giornalisti. C'è la sorella di Brasillach, quest'uomo che ha sempre fatto volentieri a meno delle donne, e ci sono Simone de Beauvoir e Maurice Merleau-Ponty. Ci sono i giovani fascisti che accolgono la sentenza di morte con urla di protesta e quasi non riescono a credere che l'esito di quella messa in scena, nella sua ingenuità, abbia regalato loro un martire di tale importanza.

Di questo rischio non si accorsero né Sartre né Simone de Beauvoir, che si rifiutarono di firmare il famoso appello a de Gaulle per la grazia. Introduzione di Emanuele Trevi.

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