Mangiare nelle taverne medievali.Tra cibo, vino e giochi

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Autrice:Omicciolo Valentini Rossella Prefazione di Salemi Maria pagine 72
ESAURITO

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Di taverne, celle, osterie era costellata infatti l’Europa medievale: da quelle lungo le strade stagionalmente percorse da forestieri, mercanti, viaggiatori, soldati, a quelle cittadine, distribuite lungo le strade e nei mercati, tra banchi di carne e di frutta, di panni e altre merci, e affollate da salariati, venditori ambulanti, servitori. E poi ancora mendicati, imbroglioni, giocatori di professione e bari; ma anche mercanti e cittadini dei ceti più elevati, che non disdegnavano bere un buon bicchiere di vino, meglio se in compagnia. In molte di esse non solo si vendeva vino, ma si servivano cibi di grande semplicità atti soprattutto a stimolare il bisogno di riempire con frequenza il bicchiere e, addirittura, si approntavano giacigli più o meno improvvisati per la notte. Ma poiché frequentemente vi si praticava il gioco e si esercitava la prostituzione, erano luoghi comunemente ritenuti di malaffare. Per questo le taverne erano talora costrette a trasferirsi dalle prescrizioni volte a tutelare luoghi pubblici o religiosi; e tuttavia, quasi sempre, i divieti ad esse relativi, come del resto le norme che regolavano l’esercizio dell’attività, gli orari di apertura durante il giorno e la notte, la somministrazione di cibi, venivano tranquillamente disattesi. Intorno alle taverne ruotava dunque una vita intensa: vi si mangiava, si beveva, si giocava, si fornicava, si trascorreva il tempo dello svago e del riposo, si prestava orecchio alla circolazione delle notizie e alle conversazioni degli artisti e dei mercanti, si intrattenevano relazioni sociali, si organizzava la protesta, si cercava un’alternativa al proprio mondo. Di taverne parlano infatti, fra gli altri, Benedetto Varchi e il Lasca, l’Ariosto, il Pulci e il Guicciardini; frequentatori di osterie saranno, come già lo erano stati Cecco Angiolieri, il Sacchetti e Folgòre, anche il Magnifico Lorenzo e Galileo, Machiavelli e Michelangelo, che ce ne hanno lasciate testimonianze in prosa e in rima. In questo mondo rutilante e colorato, sordido e affascinante, denso di aromi e di afrori, ci introduce con garbo e misura Rosella Omicciolo Valentini, procedendo sulle strade e attraversando le città non solo italiane del Medioevo. Il suo richiamo ai testi è costante, l'informazione accurata e puntuale, la scrittura precisa e accattivante. Un Medioevo a tavola, dunque, non “immaginario” o “immaginato” (come quello che oggi troppo spesso ci viene proposto dalle numerose sagre, feste, cene intitolate a quel periodo e che tuttavia con esso e con la sua cultura e civiltà poco hanno a che vedere), ma fedelmente ricostruito nella sua realtà storica oltre che nei sapori e nei profumi.

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