Lissa, l'ultima vittoria della Serenissima (20 luglio 1866)
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Una lettura insolita della battaglia di Lissa, svoltasi nel Mare Adriatico il 20 luglio 1866, nelle ultime battute della terza guerra d'indipendenza e che vide l'inaspettato tracollo della flotta tricolore di fronte a quella asburgica: una sconfitta che viene vissuta ancor oggi dalla marina italiana come una tragedia, come un'onta impossibile da cancellare.
L'autore la ricostruisce con un'ottica del tutto particolare, basandosi su documenti ed elenchi praticamente inediti e sui resoconti della stampa dell'epoca, una ricostruzione vista dalla parte dei veneti, o meglio, dalla parte di quei popoli che si riconoscevano nella Serenissima e che costituiscono l'ossatura degli equipaggi della marina austriaca, "L'Imperial Regia Veneta Marina" come era ufficialmente chiamata fino a pochi anni prima.
Nel momento decisivo, all'affondamento dell'ammiraglia "Re d'Italia", esplose fra i "nostri" marinai un "Viva San Marco" inequivocabile, quel "Viva San Marco" che testimonia ancor oggi la volontà del popolo veneto di valorizzare la propria identità, di riacquistare la propria sovranità culturale e politica.
Una lettura insolita della battaglia di Lissa, svoltasi nel Mare Adriatico il 20 luglio 1866, nelle ultime battute della terza guerra d’indipendenza e che vide l’inaspettato tracollo della flotta tricolore di fronte a quella asburgica: una sconfitta che viene vissuta ancor oggi dalla marina italiana come una tragedia, come un’onta impossibile da cancellare.
L’Autore la ricostruisce con un’ottica del tutto particolare, basandosi su documenti ed elenchi praticamente inediti e sui resoconti della stampa dell’epoca, una ricostruzione vista dalla parte dei veneti, o meglio, dalla parte di quei popoli che si riconoscevano nella Serenissima e che costituirono l’ossatura degli equipaggi della marina austriaca, “L’Imperial Regia Veneta Marina” come era ufficialmente chiamata fino a pochi anni prima.
Nel momento decisivo, all’affondamento dell’ammiraglia “Re d’Italia”, esplose fra i “nostri” marinai un “Viva San Marco” inequivocabile, quel “Viva San Marco” che testimonia ancor oggi la volontà del popolo veneto di valorizzare la propria identità, di riacquistare la propria sovranità culturale e politica.
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EVA KLOTZ
P R E F A Z I O N E
“La storia è un grande obitorio,
dove ciascuno viene a cercare i propri morti”
(Heinrich Heine)
Questo lavoro di Ettore Beggiato è un ardente riconoscimento per la sua patria veneta, un apprezzamento per la marineria veneziana e un entusiastico incitamento a scoprire e risvegliare la storia della “Serenissima”.
“Per San Marco!” era il grido di battaglia dei combattenti veneti agli ordini del celebre Contrammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthof durante lo scontro navale nelle acque di Lissa. “E' vero che i marinai della Ferdinand Max (una delle navi corazzate austriache della battaglia) salutarono l'affondamento del Re d'Italia (nave italiana) gridando – Viva San Marco ! -. E' vero che a bordo delle navi si parlava veneto, ma questo accadeva perché il veneto era la lingua franca della marineria adriatica e perché la Marina asburgica era l'erede della Marina della Serenissima”. Siffatte testimonianze di fedeltà e di autocoscienza risvegliano grande interesse e si legge con grande tensione e curiosità ciò che Ettore Beggiato racconta sullo svolgimento della battaglia navale di Lissa.
Gli scontri navali hanno spesso segnato il destino dell’umanità e contribuito a determinare risultati lontani nel tempo e nello spazio, apparentemente estranei agli eventi stessi. Basti solo pensare a Salamina (480 a.C.), Farsalo (48 a.C.), Azio (31 a.C.) e Lepanto (1571 d.C.).- Il fatto d’armi di Lissa è tuttavia particolarmente rilevante per la contiguità con sviluppi più recenti.
Dal punto di vista storico il libro di Beggiato è bene documentato e rappresenta un vero gioiello. Nelle sue pagine si riscontra un doveroso accenno ai caduti e ai feriti nel memorabile combattimento, anche se è ormai trascorso parecchio tempo. Ad essi viene attribuito il meritato onore. Anche i grandi protagonisti come Wilhelm von Tegetthof e Nicolò Karcovich vengono presentati nel loro rispettivo valore.
A proposito di valori sarebbe doveroso citare il comportamento di Tegetthof. Nell'euforia della vittoria il Contrammiraglio volle brindare con i suoi marinai. Alquante bottiglie di vino furono pertanto prelevate dalla cambusa della nave ammiraglia. Nulla di strano, sembrava. L'alto ufficiale avrebbe invece subito una ritenuta sulla propria retribuzione equivalente al costo delle bevande mancanti senza giustificato motivo. Ma egli non reclamò. Sarebbe il caso di riflettere su questo poco noto particolare specialmente nei nostri tempi.
Le varie fasi della battaglia si leggono come un avvincente romanzo, anche se si tratta invece di storia, di autentica storia.
Da parte loro i lettori potrebbero soltanto aggiungere un pensiero per associazione di idee. Se la Contessa di Castiglione non avesse agito a tempo debito nella lontana Parigi, come è ben noto, non sarebbe nemmeno scoppiata quella guerra d'indipendenza italiana, conclusa con il grazioso dono del Veneto da parte della Prussia al neonato Regno con capitale Firenze.
In tutta sincerità raccomanderei la lettura di questo libro. Si tratta di un vantaggio e di un arricchimento perché soltanto dal passato, se si riesce a interpretarlo criticamente, ci giunge infatti la dimensione di ciò che è storicamente giusto o ingiusto.
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ETTORE BEGGIATO
I N T R OD U Z I O N E
“Chi controlla il presente
controlla il passato,
chi controlla il passato
controlla il futuro”
George Orwell
Credo che poche volte come quest’anno, 2011, centocinquantesimo della cosiddetta unità d’Italia, il teorema-denuncia di G. Orwell abbia dimostrato la sua drammatica validità confermando la straordinaria capacità dell’intellettuale inglese di leggere il futuro, di descrivere quei fenomeni che poi avrebbero contraddistinto i rapporti fra i singoli e fra i popoli.
Siamo stati spettatori involontari e allibiti di una infernale (e costosa) messinscena che ha preteso di imporre una sola lettura, una sola impostazione, un solo teorema di quanto è successo durante il cosiddetto risorgimento, falsando la storia, ignorando sistematicamente le voci critiche (da Gramsci a Cattaneo), cercando di imporre logiche devastanti, come quella di “uno stato, una bandiera, un popolo, una lingua, una storia, una identità” degna erede delle impostazioni del Ministero della Cultura Popolare del ventennio.
Siamo lontani da una simile “soluzione finale”; proprio per reazione a quanto è successo quest’anno, aumentano gli “spiriti liberi” convinti che, all’interno dello stato italiano, ci siano decine di popoli, decine di bandiere, di lingue, di identità e lottano per riaffermare la loro identità, tirolese, sarda, siciliana o veneta che sia.
Ecco allora questa ricerca, questa “provocazione” per riaffermare con forza la specificità veneta, quell’essere veneti e basta, quell’appartenere a una nazione storica d’Europa che tale è almeno dal 1.200 a.C. da quando in questa terra si insediarono i primi Veneti, gli antichi Veneti o Paleoveneti che dir si voglia.
Quella nazione storica d’Europa nobilitata da millecento anni di indipendenza, che ha sempre saputo meritarsi l’ammirazione e il rispetto in tutto il mondo e che anche nel 1866 trova la forza, nella drammatica battaglia navale di Lissa, di gridare “Viva San Marco!”.
Quel “Viva San Marco!” che ha caratterizzato i momenti più significativi della nostra storia veneta.
E penso alla guerra di Cambray, a Famagosta, a Lepanto, alle Pasque Veronesi, a Perasto, alla resistenza antigiacobina delle valli bresciane, all’insorgenza veneta del 1809, alla rinata Repubblica Veneta del 1848-49 fino, appunto, al 1866.
Ed è significativo che quel “Viva San Marco!” emerga da una battaglia navale che vede gli “italiani” avversari dei nostri veneti e che venga gridato il 20 luglio 1866, cinque anni dopo quel 17 marzo 1861 che la propaganda nazionaltricolore ha disperatamente cercato di far passare come l’anniversario dell’unità d’Italia: una fantomatica unità, che fu, nei fatti, una guerra di espansione di casa Savoja. Ma noi veneti, ripeto e sottolineo, nel 1861 non facevamo parte del Regno d’Italia.
Ma tutto questo è stato rimosso dalla storia ufficiale: i Veneti non hanno e non possono avere una “loro” storia.
E’ quanto emerge dai libri della scuola italiana e da quanto viene “insegnato” nelle università venete, o meglio, nelle università italiane del Veneto.
E allora mi viene in mente quanto scriveva una poeta catalano, Raimon Sanchis:
"Ti rendi conto, amico
da molti anni ormai,
ci nascondono la nostra storia,
dicono che noi non ne abbiamo;
che la nostra storia è la loro storia,
ti rendi conto amico ...”
Ti rendi conto, amico, che noi veneti dobbiamo ritrovare la forza di gridare “Viva San Marco!”, di far sventolare la nostra bandiera veneta, di riappropriarci della nostra storia, della nostra identità, della nostra lingua, del nostro futuro ?
Venezia 29 febbraio 2011 more veneto
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