L'Alfiere

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Autore: Alianello Carlo., pagine 488.
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Romanzo d'esordio (1943), L'AIfiere resta, insieme al piu' conosciuto (complice anche una riuscita trasposizione televisiva) e apprezzato L'eredita' della Priora, la migliore prova narrativa di Carlo Alianello: romanzo ricco di personaggi, situazioni, storie intrecciate e colpi di scena, oltre che di un linguaggio corposo e nello stesso tempo straordinariamente vario e suggestivo, giocato su una gamma di effetti stilistici diversi, ora solenni e immaginifici, ora rapidi e incisivi; e ogni tanto guizzano anche, a sorpresa, lampi di un sottile umorismo. Romanzo di largo respiro, piuttosto denso (ma lo si legge spedito fino in fondo per quella forza d'attrazione e capacita' di coinvolgimento che le pagine possiedono), si propone anche come documento originalissimo su un momento essenziale, drammatico e controverso della storia d'Italia e del Sud in particolare: la caduta del regno borbonico delle Due Siclie in seguito alla spedizione garibaldina dei Mille e la sua annessione al regno sabaudo. Pagina dopo pagina, si svolge sotto gli occhi del lettore un'animatissima 'commedia umana' nella quale si mescolano vicende belliche e d'amore (amore casto e amore carnale), recitano la loro parte piccoli eroi e grandi vigliacchi, aristocratici e cafoni, cortigiani e camorristi, frati e guerrieri. E dove la Storia si umanizza e acquista sapore: Garibaldi diventa, sulla bocca dei suoi, familiarmente "don Peppino", mentre appare, agli occhi dei nemici, ammantato di un'aura quasi magica perché sembra invulnerabile alle fucilate che gli tirano addosso; e a sua volta Francesco II, accanto alla splendida moglie Maria Sofia di Baviera, sorella della celeberrima Sissi, affronta con una dignita' malinconica e toccante il disfacimento del proprio regno, segnato piu' da tradimenti e vigliaccheria che da autentici aneliti di liberta' e sentimenti d'italianita' della popolazione. Il corso degli eventi si compie fra dubbi, crisi di coscienza, ciniche scelte di comodo, compromessi. Probabilmente, il carattere migliore del romanzo sta proprio nelle profonde contraddizioni in cui si trovano ad agire molti personaggi, a cominciare dallo stesso protagonista, l'alfiere Pino Lancia che, nell'animo è un liberale, ma, una volta diventato 'soldato del re', il suo re borbonico, per una scelta paterna impossibile da discutere, sente l'obbligo morale di restare al suo servizio, fino alla fine. In piu' occasioni Carlo Alianello, raccontandoci gli eventi dei 1860, ci induce a riflettere su certe situazioni contemporanee, che in qualche misura da quelle vicende furono contagiate. E da' una chiave di lettura del cambiamento traumatico in atto, accompagnato da troppe aspettative, per bocca del vecchio barone Lancia il quale ribatte al figlio, fedele al governo borbonico come soldato, ma critico come cittadino: «Il progresso c'è, e io ci credo. Che cristiano sarei se non ci credessi? Solo che d'una cosa sono sicuro: che il progresso non ci viene da fuori. Da dentro ha da venire... Non esistono buone leggi per un popolo corrotto e sono gli uomini che fanno le leggi, non le leggi gli uomini. Tu il progresso vuoi? Sissignore: anche io. Sii onesto, se l'onesta' ti mancava, e questo è certamente un bel progredire. E se gia' eri un galantuomo, cerca di diventare migliore. Ma a quel progresso che ti porge la politica, tu non ci credere, ch'è roba sporca». Un'indicazione sempre valida di responsabilita' individuale: quella che troppo spesso è mancata per fare la migliore Italia unita possibile.

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