Goffredo di Buglione
L'opera. Campione delle virtù cristiane e cavalleresche e grande condottiero del primo esercito crociato, discendente di Carlo Magno, Goffredo conte di Buglione, duca della Bassa Lorena, è personaggio sospeso, come e più dell’illustre avo, tra il mito e la storia. Prestissimo il suo nome, la sua figura, le sue azioni entrano nella leggenda e la letteratura se ne appropria. Al pari dei paladini di Carlo Magno e dei cavalieri della Tavola Rotonda, egli è protagonista, nelle chansons de geste, di imprese straordinarie e gloriose. Dante colloca «il duca Gottifredi» nel cielo di Marte, tra gli spiriti militanti. Tasso gli dedica il suo grande poema, che si apre proprio con l’immagine di lui: «Canto l’arme pietose e ’l capitano / che ’l gran sepolcro liberò di Cristo». Ma Goffredo di Buglione è figura di concreta realtà storica e di grande rilievo nel panorama medievale. La ricostruzione rigorosa del profilo autentico del conquistatore di Gerusalemme, mentre offre la necessaria alternativa alle interpretazioni, e talvolta le deformazioni letterarie, consente il recupero di un personaggio effettivamente straordinario, uomo d’azione e di fede, volitivo e prudente, valoroso combattente e abile stratega, ma anche politico accorto, profondamente motivato e deciso nella sua azione quanto indifferente ai vantaggi personali e agli onori. Condottiero incontrastato, prima, di una delle tre armate che nel 1096 mossero dall’Europa verso Gerusalemme, poi capo effettivo dell’intero esercito crociato che nel 1099 diede l’assalto definitivo alla città santa e la riportò sotto il dominio cristiano, egli fu il realizzatore, più o meno consapevole, di un progetto politico di lungo periodo che avrebbe avuto conseguenze di grande portata nella successiva storia dell’Occidente e dell’Oriente. Appena un anno dopo che il vessillo cristiano era stato portato sulle mura di Gerusalemme, Goffredo morì improvvisamente, a poco più di quarant’anni. Nel frattempo, se pur brevissimo, tuttavia, aveva avuto la possibilità di consolidare militarmente e politicamente la sua conquista, sbaragliando fra l’altro ad Ascalona l’esercito egiziano che era venuto al contrattacco: in meno di un anno aveva posto le fondamenta di un nuovo Stato, propaggine dell’Europa cristiana nell’Oriente musulmano, destinato a durare più di un secolo e mezzo. Ma per sé egli non chiese altro che il titolo di «avvocato – cioè difensore – del Sacro Sepolcro». Un gesto che apparve mobilissimo, e avrebbe alimentato la sua leggenda di uomo pio e schivo, quale viene rappresentato nell’opera tassiana.