Circa un secolo fa il politologo svedese Rudolf Kjéllen adoperò per primo la parola «geopolitica». Non era solo una parola nuova, oppure un cambiamento di nome alla geografia politica, bensì come sostennero più tardi Massi e Roletto, fondatori della geopolitica italiana, si trattava di una nuova dottrina che, senza volersi sostituire alla geografia politica, intendeva «estendere la propria indagine ai legami che vincolano gli eventi politici alla terra e vuol indicare le direttrici di vita politica agli Stati, desumendole da uno studio geografico-storico dei fatti politici, sociali ed economici e della loro connessione» (Roletto, Massi, 1939).La geopolitica, dunque, non si sostituisce alla geografia politica, che considera anzi come la sua naturale piattaforma: essa supera la tradizionale concezione ratzeliana degli Stati quali organismi politici, e applicando alla loro esistenza un metodo di analisi geografico-politico dinamico, ne studia i fattori di competitività ricercando le manifestazioni territoriali e le leggi geografiche dei loro rapporti reciproci.
In Germania la geopolitica incontrò il favore di numerosi studiosi che sotto la guida di Karl Haushofer, valorizzando l'eredità di studi e di pensiero lasciata dal Ratzel, ne svilupparono il carattere dinamico e la concezione di Stato a base spaziale e determinista. In Francia, come reazione a tali orientamenti, Jacques Ancel contrappose la ricerca della nazione e della sua espressione geografica. Alla geografia degli Stati si venne così a contrapporre la geografia delle nazioni.
Avvenne così per la geopolitica ciò che già era accaduto per la geografia politica. Quest'ultima, infatti, già dalla sua nascita ad opera di Friedrich Ratzel, con la pubblicazione della Politische Geographie, aveva assunto caratteri e tendenze diverse a seconda che gli studiosi si rifacessero al deterininismo geografico ratzeliano e del Maull - cioè la ricerca delle condizioni geografiche dello sviluppo degli Stati nei limiti ristretti della geografia fisica - oppure al possibilismo di Vidal de la Blache e del Febvre che facevano leva su una più vasta pìattaforma umana e storica. Comunque, la geopolitica, quale applicazione di un metodo geografico d'indagine e di rappresentazione anche fuori dei limiti tradizionali della scienza geografica che studia il comportamento degli Stati e le basi geografiche dei problemi politici ed economici che nascono dai loro rapporti, si sviluppò e si consolidò affermando la sua autonomia dalla geografia politica.
Ricordano ancora Massi e Roletto: «Alla posizione geografico-politica degli Stati e delle unità geografiche che è ben determinabile sulla carta politica, si sovrappone la posizione geopolitica, che è essenzialmente mutabile in relazione alle alleanze, alle direttrici di gravitazione e alla situazione politico-economica contingente. Ogni territorio ha perciò un valore geopolitico che si aggiunge a quello geografico-politico». Se dunque la geografia politica misura il valore e la gerarchia degli Stati sulla base di indici di superfici, di popolazioni, di prodotto interno lordo, di sviluppo economico, di commercio internazionale, la geopolitica estende la sua valutazione su più vaste basi, quali anche i fattori storico-strategici, culturali e spirituali. Cioè, in altre parole, considera l'espressione dinamica della potenza e competitività dei territori organizzati politicamente nel contesto dell'analisi interdisciplinare degli spazi politici.
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Il XX secolo ha consegnato ai suoi figli un bagaglio di problemi irrisolti resi ancor più virulenti dallo sviluppo tecnologico, dai mass-media, dalle rivendicazioni e dalle mai sopite rivalse nei confronti del potere costituito qualunque esso sia. È tutto il modello di sviluppo economico e politico ad essere in discussione, con evidenti implicazioni nella sfera della fede e dei suoi itinerari alla conquista di nuovi credenti. Ma lo scontro vero, a nostro parere, non è tra culture diverse, che anzi costituiscono la vera ricchezza del nostro pianeta, è soprattutto tra i diversi livelli di sviluppo economico tra chi ha e chi non ha, tra chi soffre l'umiliazione di non avere speranza e chi spavaldamente vive nell'opulenza. La geopolitica può, in questo senso, dare un concreto aiuto alla comprensione e risoluzione di questi problemi.
Il tanto declamato processo di globalizzazione dovrà prima o poi risolvere questi problemi e trovare all'interno delle maggiori libertà di mercato le risposte idonee a contrastarli. Ci si accorgerà allora che confini, etnie, religioni, non sono fattori fissi di discriminazione bensì di aggregazione dinamica nell'uso corretto della geopolitica per la coesione nazionale e la solidarietà internazionale.