Andare per le vie militari romane.
Dopo i suoi molti studi, e in special modo quelli bellissimi e rivoluzionari su Annibale – la figura, il mito, il contesto storico –, molti di noi il professor Brizzi se lo immaginano ormai abbigliato con tanto di paludamentum militare romano, tanto si è ormai tuffato nel suo ruolo di storico delle istituzioni e delle strutture guerriere dell’antichità. Come poi faccia uno studioso che s’identifica tanto nell’oggetto dei suoi studi ad essere un cultore tanto innamorato della personalità del Nemico di Roma per eccellenza, di Annibale, è un paradosso apparente che qualunque studioso conosce. Ne so qualcosa io, studioso dei crociati e ammiratore devoto del Saladino.
Ma torniamo a Brizzi. Chi non ha ancora letto il suo Il guerriero, l’oplita, il legionario, ormai “classico” e davvero decodificante capolavoro della società antica attraverso la dimensione delle armi, deve sul serio correre ai ripari. Le pagine sulla complementarità tra Ulisse e Diomede – esemplari anche per la medievistica e per la modernistica (il “prode” Rolando e il “saggio” Oliviero, il coraggio e la prudenza, l’ampia manovra e l’assalto alla baionetta, le tattiche “risolutive” e quelle “distruttive”, insomma la volpe e il leone) – sono grandiose anche al livello di world history, spiegano il mondo da Sun Tzu a Giap e oltre.
E qui non si smentisce. Aprire il suo saggio sulle strada militari di Roma e andar subito a cercare Annibale al Trasimeno è, specie per un toscano da sempre innamorato della sua Cassia, tutt’uno: e sulle prime si resta quasi delusi, quasi assaliti dal disappunto, al constatare che il suo “Annibale attorno al Trasimeno” (pp. 81-87) si muove tutto attorno all’asse della Flaminia. Il che poi è del tutto normale, dal momento che ai tempi di Annibale, a cavallo cioè fra III e II secolo a.C., la Cassia – costruita dal 154 a.C. dal console Caio Cassio Longino (da non confondersi con l’omonimo cesaricida, posteriore) per collegare Roma ad Arezzo, ancora non esisteva. Ma appunto qui sta il nucleo forte del libro, che mira limpidamente a seguire la politica e la strategia romane per la conquista e il controllo della penisola italica lungo tre assi viari concepiti e costruiti fra 312 e 187, vale a dire tra i censori Appio Claudio Cieco e Marco Emilio Lepido, le “vie consolari” Appia, Flaminia ed Emilia. Tre assi latitudinariamente stesi tra Piacenza e Brindisi e tutti non a caso incentrati sugli apici dell’Urbe, com’è ovvio, e dei porti sia romagnolo-marchigiani sia pugliesi, comunque adriatico-ionici (Brindisi e Taranto, mentre più sguarnito appare il litorale tirrenico. Certo, le guerre cartaginesi avrebbero profondamente mutato questa geostrategia.
L’impianto del libro è semplice, rassicurante. In quattro ariosi capitoli l’Autore c’informa che cosa sia una via strata, come la si costruisca, che cosa ci si deve aspettar d’incontrare lungo il suo “asse attrezzato”; quindi, partendo dall’Urbe (ma da due differenti luoghi di essa), si percorrono l’Appia partendo da porta Capena fino a Brindisi, la Flaminia da porta Fontinalis (oggi piazza del Popolo); mentre per la Via Emilia – da considerarsi una continuazione della Flaminia – si deve partire dal ponte di Tiberio a Rimini per arrivare a Piacenza. Lungo questi itinerari (che sarebbe davvero bello poter ripercorrere con calma degna dei tempi andati, a piedi), si snodano paesaggi, ricordi, meraviglie.
Ripercorriamola insieme con Brizzi, questa nostra penisola italica: e sotto la sua sicura guida. Il luogo del Domine, quo vadis?, gli otia di Capua, le tracce di Ulisse verso Terracina, il ponte Milvio, l’arco di Augusto ad Ancona e a Rimini…
Certo, per me resta un desiderio. Bisognerà percorrerla pure, con Brizzi, anche quella splendida regione attraversata dalla Cassia: il magico Latium vetus del quale mi parlava Paolo Sommella quando eravamo tutti e due allievi ufficiali d’aeronautica a Pozzuoli; e il mithraeum di Sutri; e il “Santo Sepolcro” di Acquapendente. Ma questa sarà magari materia di un prossimo nuovo libro di Brizzi.