A protezione dei templi
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A protezione dei templi: “una reazione di pietas pagana”.
Così, nel proprio preambolo, il curatore chiama questo scritto di Libanio, il maestro di retorica devoto a Giuliano il Grande, ovvero a “colui che restituì i templi agli dèi”, al principe “in possesso di tutte le virtù” venerato anche in questa orazione. “Uomini vestiti di nero che mangiano più degli elefanti”, i monaci cristiani, afferma Libanio, organizzano saccheggi contro i templi, edifìci sacri di osservanze e culti antichi che, dai primordi del genere umano, ne hanno tracciato e confermato l’itinerario storico.
Ma i templi non sono luoghi profani, privati, i santuari gentilizi sono monumenti ‘politici’, zone sacre che appartengono allo Stato, e un delitto contro l’impero commettono i cristiani che li predano – gettando tracotanti in un canto la ‘Buona Novella’, i libri della loro sedicente religione dell’amore.
Purtroppo la salute, quindi la saldezza, dell’organismo imperiale dipende ormai dal conflitto tra due forze antagoniste, il paganesimo e il cristianesimo, esercitate in conformità a due ordini gerarchici rivali: l’assetto suscitato dal politeismo, e coltivato dalle sodalità cultuali tradizionali ed esclusive, il sistema eretto sul monoteismo, e organizzato nella chiesa cristiana.
Se la Croce assurge a simbolo, l’unico, della verità, il Tempio precipita allora a emblema, capitale e residuale, della menzogna. Ovvero, nella violenza cristiana contro i templi erompe tutta l’avversione della cultura della verità rivelata, nella storia, dal dio unico, contro la cultura della verità emanata, pro aeternitate, dagli dèi.
La stessa minaccia esplicita di Libanio, che giustifica il ricorso alle armi di chi vuol proteggere i templi, presuppone e riconosce l’antagonismo tra gli dèi etnici, delle gentes e delle nationes, e il dio ‘internazionale’: tra quegli dèi che sono sempre stati tra noi, in noi, dei gentili, e il dio al di sopra di noi, che è ora con noi, dei cristiani.
In altri termini, il contrasto fra il mistero, la luce misterica, di un ordine immanente nella vita complessiva del genere umano, che ne illumina le vicende storiche, e la fede (credo quia absurdum) in una provvidenza estrinseca alla realtà temporale, che costituirebbe oggi questo mondo, dando alla storia dell’uomo un ‘senso’ ad dei gloriam, per dissolverlo domani nell’altro mondo: ad maiorem dei gloriam.